Coronavirus, ecco come e quando si ritornerà allo stadio

Coronavirus, ecco come e quando si ritornerà allo stadio

Un anno. Forse più. Secondo l’epidemiologo americano Zach Binney, della Emory University di Atlanta, gli stadi potrebbero rimanere vietati al pubblico addirittura per un anno e mezzo. A partire da adesso. «Bastano solo pochi contagiati in una folla di 60 mila persone perché ci sia il rischio che accada qualcosa di molto grave» ha spiegato lo specialista al Times. «A meno di miracoli, dovremo privarci a lungo di questo piacere» concorda il virologo italiano Roberto Burioni. Fossero davvero diciotto mesi, significherebbe che tutta la stagione 2020-21 sarà a porte chiuse. Ma poi? Cosa succederà? Che sarà degli stadi italiani e del mondo dopo la pandemia? Diversi, sì, ma come? Sebbene lo scenario non sia immediato, visto che prima della fase 3 è ancora tutta da pianificare la fase 2, quella della ripartenza a porte chiuse, i club più lungimiranti stanno iniziando già a riflettere sul futuro. Una partita delicata, che nessuno potrà permettersi di perdere. Una previsione ha provato a farla Mark Fenwick, uno degli architetti più importanti a livello internazionale, che si occupa della costruzione di tre degli otto impianti del Mondiale di Qatar 2022, secondo il quale la partita si giocherà su tre fronti: «Controlli, distanziamento, automatizzazione». Fra i punti fermi ci sono «la riduzione della capienza per aumentare lo spazio fra gli spettatori» e «il ricorso alla tecnologia no-touch». Gli impianti della fase 3 dovranno essere il più possibile automatizzati. Non sarà semplice, perché gli stadi italiani sono per la maggior parte obsoleti, complessi da adeguare. Ma si dovrà fare. Per forza di cose. Altrimenti resteranno vuoti o semivuoti per lunghissimo tempo.

Fondamentale abbattere la possibilità di contatti. A partire dall’ingresso allo stadio, che andrà scaglionato, come l’uscita, con orari prestabiliti per evitare assembramenti. I tifosi andranno sottoposti al controllo della temperatura corporea per fermare le persone a rischio. C’è il progetto di scanner facciali per evitare di dover ricorrere al «pat down», il controllo dell’addetto che perquisisce le tasche. Qui però sorgerà un problema: come fare con le mascherine? Fino a due mesi fa sarebbero state vietate, perché impediscono l’identificazione del tifoso, per lungo tempo saranno invece obbligatorie (e griffate, con i simboli e i colori del club: in Germania sono già cult). La soluzione più logica e semplice sarà limitarsi al controllo del documento.

Anche dentro potrebbe essere tutto molto diverso. Fondamentale sarà incentivare l’uso degli acquisti via smartphone, in modo da evitare scambio di banconote. Per cibo, biglietti, merchandising. Un’app potrebbe permettere di evitare assembramenti e file ai bar, con la creazione di un sistema di localizzazione del cliente o di avviso per quest’ultimo. Capitolo porte: addio maniglie, dovrebbero aprirsi e chiudersi a infrarossi. Potrebbe cambiare addirittura anche il modo di tifare. Si potrebbe arrivare perfino a far sedere gli ultrà. «Non per una questione di sicurezza ma perché sarà l’unico modo per occupare uno spazio ben definito e distante — spiega Stefano Perrone, direttore operativo del Parma e consulente della Lega di serie A per la gestione degli stadi —. In una prima fase è immaginabile un’occupazione dei posti a scacchiera, un po’ come si farà sui treni e in metro: la capienza potrebbe essere dimezzata, perché gli stadi italiani sono in media vecchi, quindi con spazi stretti oggi».

E gli stadi ancora da costruire, come il nuovo San Siro? Il Covid potrebbe rivoluzionare i progetti? «Nel lungo tempo non penso a stadi che da 60 mila posti diventeranno di 30 mila, non sarebbe sostenibile economicamente — dice Alessandro Zoppini, architetto che ha disegnato impianti sportivi per tre Olimpiadi —. Magari si può ridurre la capienza del 10%, non di più. Non immagino plexiglass che separino i tifosi. Tutti gli spazi comuni, però, dai bagni alle aree food, dovranno essere più grandi. Diverso il discorso sul medio termine: dovremo convivere col virus e quindi avere strutture adattabili, per esempio seggiolini che possono abbassarsi. Inoltre credo che prevarrà la ventilazione naturale, più sicura dell’aria condizionata».

Un punto chiave riguarderà i servizi igienici, oggi spesso indecenti. Dovranno essere puliti, autopulenti e con dispenser di sapone automatici. Il concetto è: meno si tocca, meglio è. Chissà che la pandemia non si riveli un acceleratore di un rinnovamento infrastrutturale del quale il nostro calcio ha un bisogno estremo. Ma una domanda è inevitabile: quanti potranno permetterselo? Specie dopo il crollo degli introiti?

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