Auriemma: “Turnover? Non rigenera ma stanca. Vi spiego perchè…”

Raffaele Auriemma si sofferma sulla questione turnover nel suo editoriale per Il Corriere dello Sport in edicola stamane

Poi dicono il turnover. Esercizio obbligatorio di rotazione tra i calciatori inseriti nell’organico di una squadra impegnata in varie competizioni o mera dissertazione accademica sull’opportunità di utilizzare (come accadeva fino agli anni Ottanta) sempre e comunque gli stessi, migliori undici? Il dibattito è sempre aperto e nessuno si esclude dallo stesso, senza avere tra le mani la benché minima conoscenza scientifica sul perché variare (oppure no) gli elementi da una gara all’altra. Ognuno è convinto di avere la ricetta giusta, tra quelli che concordano con Sarri nell’aver scelto per 15 volte su 27 la stessa formazione e chi, di contro, sostiene la necessità organica dell’avvicendamento in base al minutaggio.

Parole in libertà e lanciate in orbita dalla base solida di un ego, il proprio, nutrito della presunzione di chi pensa che, parlare o scrivere di calcio, sia sufficiente per addentrarsi nelle segrete stanze della preparazione atletica. Talmente segrete, da essere sconosciute anche agli interpreti più celebrati: Rafa Benitez applicava scientificamente il turnover nel Napoli che un anno fa, proprio di questi tempi, cominciò il declino fino a perdere, via via, la finale di Coppa Italia, quella di Europa League e l’accesso alla Champions League.

Allora fa bene Sarri a tenere fuori i titolarissimi, ma solo di rado? E chi può dirlo, anzi, si direbbe proprio di no, che sbaglia. Vi propongo un dato sfuggito ai più. Lunedì all’Artemio Franchi c’era Koulibaly in preda ad un torpore per lui insolito, Ghoulam ha sofferto la velocità di Tello, Jorginho ha iniziato a carburare solo nella ripresa, Allan ha disputato la sua peggior partita da quando gioca nel Napoli, Callejon era sprovvisto della implacabile lucidità sotto rete: sapete cosa hanno in comune i 5 azzurri destinatari dei giudizi peggiori al termine di Fiorentina-Napoli? Nessuno di loro era stato schierato dal primo minuto al San Paolo contro il Villarreal.

C’è qualcuno che può dare, non un’intima sensazione, bensì una spiegazione sul perché si sia verificato questo paradossale controsenso nel nome del tanto invocato turnover? Forse no oppure sì, perché gli esperti dicono che chi è abituato a giocare sempre, poi deve tornare a carburare quando si ritrova in campo immediatamente dopo un turno di riposo. Siamo in attesa di motivazioni concrete e supportate dalla base scientifica, per spostare l’ago della bilancia verso quelli che sono pro o contro il turnover. Per una ragione oppure per quella opposta, nessuno potrà negare che quando si arriva a marzo, bisogna solo che correre. Tutti. Se si abbia nelle gambe l’energia per reggere fino alla fine o se la forza stia scemando, ognuno dei calciatori in corsa per qualcosa, in genere, estrae dal proprio dna le risorse nervose utili a sopperire alla carenza di vitamine e proteine. E non è mica detto che chi sta dietro sia sfavorito, anzi, proprio sul rettilineo finale rischia di crollare chi sta in testa. Si chiama “la sostenibile leggerezza dell’essere, secondo”. Nella doppia versione di chi è destinato a vivere per sempre nell’ombra del vincitore, o di chi considera un grande vantaggio l’opera di inseguire il battistrada. Sta lì, guardingo, studia le mosse di chi lo precede con un fare tronfio per aver ottenuto il comando della corsa dopo una lunga e dispendiosa rimonta.

Il Napoli non è ancora squadra che può guidare il gruppo, la pressione è forte e corrode gli inesperti. Forse è meglio restare in scia, in agguato, soprattutto adesso che lo scudetto sembra essere della Juventus. Sembra.

Carmine Gallucci

360 gradi è l'angolazione minima con cui osservo il mondo. Twitter: @CarmineGallucci

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