Coronavirus, i giovani parlano chiaro: “Ci abbracciamo, tanto il Covid colpisce solo gli anziani”

Coronavirus, i giovani parlano chiaro: “Ci abbracciamo, tanto il Covid colpisce solo gli anziani”

Paolo ha 21 anni e studia Scienze politiche a Bologna. Venerdì notte è uscito con gli amici alle 23.30 ed è rientrato a casa alle due. Sono rimasti perlopiù in piazza San Francesco, dove hanno bevuto tre birre a testa prese dai pachistani. A un certo punto il suo gruppo è stato circondato da altri ragazzi, tutti arrivati con le stesse modeste intenzioni di riprendere un minimo di vita sociale, e lui e i suoi amici si sono spostati di poco, per essere meno nella ressa. Così hanno continuato a chiacchierare tra di loro, senza mascherina. Cosa lo ha fatto sentire tranquillo? «Anzitutto la mia età, il virus colpisce i più anziani. Poi il fatto che fossi con persone che conoscevo e che sapevo avevano passato la quarantena in casa senza contatti con altre persone. E infine il fatto che i miei genitori vivono a Cagliari, qui non ho parenti, non rischio di diventare un veicolo di contagio».

Riccardo è più giovane, ha diciassette anni e frequenta il liceo Mameli di Roma. È uscito sabato con i compagni di scuola ed è andato a Ponte Milvio. Ammette che lo scenario era impressionante: tantissimi ragazzi, vicinissimi gli uni agli altri, senza mascherina. Lui la sua l’ha tenuta in tasca. Perché? «Nessuno la indossava, non volevo essere diverso, tutti volevamo fare bella figura. Molti di noi si rivedevano per la prima volta e ci siamo abbracciati. Quando poi abbiamo fatto la fila per prendere qualcosa da bere in un bar, eravamo tutti assembrati». Dal coronavirus pensa di essere immune, considerata l’età, ma si è sentito un po’ a disagio, tornando a casa, al pensiero che avrebbe potuto contagiare i suoi familiari. «E comunque non è nemmeno l’aperitivo la cosa più grave — aggiunge —. Molti miei coetanei stanno organizzando feste di compleanno a casa loro in cui invitano una dozzina di amici: lo vedo dalle loro stories su Instagram. Quelli non li controlla nessuno…»

Gli irriducibili della movida non sono mostri a tre teste, ma ragazzi che si sono stufati di restare a casa. «Ognuno pensa di aver fatto la propria parte e dunque di meritare finalmente un po’ di svago», spiega Edoardo Meneghini, 22 anni, all’ultimo anno di Informatica e presidente del consiglio degli studenti dell’Università di Trento. Vive a Rovereto e non ha mai visto i bar della sua città così pieni di gente. Racconta: «Sabato sera sono uscito per la prima volta con i miei amici. Siamo andati a prendere una pizza da asporto e poi l’abbiamo mangiata in un parco. Dopo siamo andati in un locale a bere qualcosa». Non gli riesce difficile capire perché i ventenni abbiano bisogno assoluto di uscire. «Per settimane ci è stato imposto un distanziamento sociale che non era quello del metro al supermercato, ma delle relazioni umane. È stato difficile per tutti: uno studente ha a che fare quotidianamente con i coetanei, dentro la biblioteca, nel bar dell’ateneo, in biblioteca, in mensa o in cortile. Ci sta che adesso abbia voglia di recuperare quella dimensione».

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