Sosa: “Non farei il ritiro punitivo. Quando in rosa hai certi campioni le punizioni sono inutili”

PAMPA SOSA 0029Il cuore azzurro batte. Forte. Sempre. Così come nella famosa pubblicità. E quello del Pampa Sosa non ha mai smesso di palpitare per il Napoli. Lui s’è solo spostato più a sud di una cinquantina di chilometri, per allenare il Sorrento. Ma, siamo lì, è un po’ come essere tornati a dieci anni or sono, quando era in serie C1, da calciatore, in un pionieristico Napoli. Anche se i rossoneri ora militano in serie D, girone I. Il Pampa in quel deserto, anzi in quel mucchio di cenere che era il Napoli Soccer (ridiventato poi Ssc Napoli) subito dopo aver cambiato padrone, e senza pensarci su un attimo. Primo (dei nuovi) ad essere tesserato, fortissimamente voluto dal dg Pierpaolo Marino, assieme al quale ha attraversato varie fasi della sua carriera da calciatore. Il Pampa che per la maglia azzurra rinuncia al neo-promosso (in serie A) Messina, si bagna d’umiltà e come simbolo di rinascita sospinge, assieme a tanti altri, il Napoli dalla C alla A in sole tre stagioni. Dai palloni che non c’erano in quel di Paestum, al maggio 2008 al San Paolo, in occasione di Napoli-Milan, quando saluta e se ne torna in patria, non prima di aver indossato anche la fascia di capitano. E quel giorno, nel giro di commiato, la maglia numero 10 dedicata a Maradona. E così Napoli non ha mai dimenticato Roberto Carlos Sosa. Dopo aver apprezzato le qualità (ma anche il rendimento) di un altro argentino che ha dato tutto, e anche oltre, per il colore azzurro.

Mister Pampa, dal campo alla panchina, con intermezzo di opinionista in tv. Quale sarà la sua direzione definitiva?
«Voglio fare l’allenatore per i prossimi trent’anni. Adesso sto cominciando, ma già sapevo che la cosa mi avrebbe preso completamente. Già da quando scendevo in campo. E poi commentando tantissime partite e quindi guardandole da tutte le angolazioni. Ecco, direi che fare l’opinionista ha rafforzato in me la convinzione di allenare»

A Sorrento per la sua prima esperienza, come la sta vivendo?
«Devo anzitutto ringraziare Pierpaolo Marino, che mi ha dato tantissimo lungo tutto l’arco della mia carriera. Una persona splendida. Grazie a lui ho trovato questa prima opportunità: come in altre occasioni mi è arrivata una sua telefonata, chiedendomi di affiancare alla conduzione tecnica il figlio Ernesto, attuale ds»

Com’è allenare?
«Stimolante, adrenalinico, come quando giocavo. Più passa il tempo e più mi accorgo che non ne potrei più fare a meno. Anzi, le dirò, l’ho sempre sognato a occhi chiusi».

Il momento della sua squadra?
«Siamo a centro classifica, appena usciti dalla zona pericolosa dei playout e per prima cosa stiamo pensando a salvarci. A Sorrento mi trovo benissimo, e darò tutto me stesso per sfruttare al meglio questa occasione. Chi mi conosce sa che non mi accontento mai. Voglio e devo arrivare ad allenare in serie A»

Ha adottato lo stesso 4-2-3-1 di Benitez, giusto?
«E’ un modulo che mi piace, mi piace l’idea che ne scaturisce. Che è quella di attaccare in forze, in quattro e più. Però il mio 4-2-3-1 è solo un modo per partire, poi si trasforma: diventa 4-4-2, oppure 4-5-1 e anche 4-3-3. A seconda del risultato e degli avversari, e per la mia idea di calcio i trequartisti devono scalare a centrocampo continuamente, devono rientrare per dare una mano oltre a sostenere la punta. Diciamo che adotto tanti moduli, mentre il Napoli non varia tanto».

Con gli azzurri ha iniziato comprando tutto il necessario nel negozio di articoli sportivi, che ricordi ha?
«Indelebili, perché ho visto il Napoli rinascere. In principio eravamo io, Montervino e Montesanto, e davvero non avevamo nemmeno i palloni. Ma sono state quattro stagioni indimenticabili, Napoli è parte di me. E i tifosi mi hanno sempre ripagato, anche nei momenti più delicati»

Quale di questi momenti ricorda brucia ancora?
«Di sicuro i playoff falliti contro l’Avellino, riuscendo pure a fare un gol. Ma a conti fatti è amaro».

Quello più bello, invece?
«Non ho dubbi. Al Frosinone, al San Paolo, con ancora il 10 di Maradona sulle spalle, davanti a 50mila spettatori. Una cosa talmente bella da commuovermi ancora adesso».

Di quei tempi chi sente ancora?
«Spesso parlo con Paolo Cannavaro, Fabio Gatti e Cristian Bucchi, a loro sono rimasto legatissimo. Dei più recenti Gargano e Hamsik».

Il Napoli è in un momento-no, secondo lei si doveva prolungare il ritiro per qualche altro giorno?
«Per come la penso, i ritiri sono costruttivi quando la squadra ha bisogno di ritrovarsi, guardandosi negli occhi. Ne ho fatti tanti, a partire da Udine, e poi con Ventura e Reja. Alcuni sono durati anche settimane intere. Sono a favore, ma non so fino a che punto possano giovare e cambiare il corso delle cose quando hai in squadra gente come Higuain, Callejon, Hamsik, Albiol. Penso perciò che a questo Napoli i ritiri non servano».

In quale degli azzurri si rivede?
«Semmai, chi di loro potrebbe rivedersi in me? Scherzi a parte, io avevo l’ormai famosa cazzimma, che adesso manca del tutto».

Higuain è tornato in sordina…
«Higuain vive il momento del Napoli, che coinvolge tutta la squadra, lo stesso Hamsik. Ma presto arriveranno giorni migliori, ci scommetto. Azzurri terzi alla fine, non ho dubbi».

E la Supercoppa?
«Incrociamo le dita».

 

Fonte: Corriere dello Sport

Carmine Gallucci

360 gradi è l'angolazione minima con cui osservo il mondo. Twitter: @CarmineGallucci

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