Presentazione
Una presentazione come si conviene per il giornalista e scrittore Mimmo Carratelli che stiamo per intervistare avrebbe bisogno di molto spazio, e forse di un’altra penna, per descrivere i 60 anni di magnifica carriera condita da successi, pubblicazioni importanti e grandi collaborazioni con i più importanti quotidiani italiani.
È stato redattore alla Gazzetta dello Sport, al Corriere dello Sport-Stadio, al Mattino, vicedirettore del Guerin Sportivo, nonché autore di libri sulla storia del calcio e del Napoli in particolare, tra cui La grande storia del Napoli, Gianni Marchesini Editore, Marek Hamsik il principe azzurro; Elogio di Mourinho; Ferlaino sceicco di Napoli; E nel settimo giorno Dio creò gli allenatori.
Ad agosto 2015, per la sua voglia di mettersi ancora in gioco, decide di tornare al Mattino, dove era già stato dal 1987 al 1995.
Oggi, Mimmo Carratelli si rivolge a noi ed ai lettori di ForzAzzurri.net per rispondere ad alcune domande.
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1) Mimmo, dopo 60 anni di carriera e di passione sportiva, come si fa ogni anno a ricominciare daccapo? Chi ha seguito le vicende di Sivori, Altafini, Savoldi, Krol, Maradona e Careca dove trova l’energia e la voglia di appassionarsi al calcio di oggi?
“Il tempo di quei campioni è stato un’altra cosa. Non solo un calcio più tecnico e godibile, ma nascevano tra noi simpatie e affetti. Forse perché eravamo più pochi di adesso e anche più semplici. Il calcio di oggi, troppo di corsa in tutto e troppo danaro, non concede molto ai rapporti umani. Scrivo ancora perché è l’unica cosa che so fare, bene o male, ed è un modo per non fare proprio la vita del pensionato”.
2) Cosa ha da dire ancora la storia del calcio? Non c’è il rischio, per chi ha seguito tante partite di calcio, di pensare che ormai tutto sia stato già detto e che tutto sia stato già raccontato?
“Il calcio sembra sempre uguale, ma ogni partita è diversa. Forse, però, il gioco si sta appiattendo sugli schemi tattici, i giocatori sembrano tutti uguali, sono pochi quelli che si distinguono, insomma c’è meno fantasia perché si dà meno spazio alla fantasia, all’istinto, all’inventiva. In questo clima è difficile che vengano fuori altri Rivera, Baggio, Totti. In quanto a raccontarlo, il calcio, per non ripetersi bisogna essere meno banali possibili e magari fingere un entusiasmo che non c’è più”.
3) Ci può raccontare qualcosa dei suoi inizi? E dare, magari, un suggerimento a tutti quelli che si avvicinano a questo meraviglioso lavoro, che è quello di raccontare il mondo del pallone?
“Parlo degli inizi degli anni Cinquanta … dell’altro secolo. Un mondo più genuino, forse più ingenuo, una vita non forsennata, c’erano occasioni di lavoro, in tutti i campi si cercavano nuove leve. Nei giornali era facile entrare da “abusivi” accettando tutto per amore del mestiere, lavorare notte e giorno senza essere pagati, però godere dei primi articoletti pubblicati senza firma. Un apprendistato duro ma molto formativo. Bisognava avere anche un carattere resistente per continuare e, naturalmente, qualche qualità nello scrivere. Col tempo, dopo una selezione naturale fra chi tentava per tentare e chi puntava veramente a fare il giornalista il posto di lavoro remunerato veniva fuori. Oggi la crisi dell’editoria blocca praticamente le nuove assunzioni. In quanto alla crisi del mestiere è che non c’è più da tempo una continuità generazionale, i vecchi che insegnavano ai giovani, forse non c’è più tempo per farlo, forse i vecchi non sanno più farlo e i nuovi non hanno molta voglia o la pazienza di imparare. È un mestiere chiuso, ormai. Radio e televisioni private hanno accentuato la non buona qualità dei giovani giornalisti (sfruttati) ai quali magari basterà la “chiacchiera” ma gli manca il “passaggio” nei giornali dove, almeno una volta, era necessario impadronirsi dei “fondamentali” del mestiere. Un po’ come succede nel calcio di oggi con molti giocatori “analfabeti di piede”. E, oggi, la passione e la qualità dello scrivere non sono più considerate come ai miei tempi”.
4) Qual è il Napoli al quale è rimasto più legato? E qual è il giocatore che ricorda con maggiore affetto?
“Il Napoli allenato da Vinicio che ci consentì, per la prima volta, di andare su ogni campo e in ogni tribuna stampa da protagonisti. I giocatori che sono nel mio cuore sono tutti quelli dei miei tempi più gioiosi e di autentici affetti, da Panzanato in poi fino a Zola, Pesaola il mio affetto più grande, Canè e Vinicio, Juliano, Claudio Sala, Gigi Pogliana, Girardo, Altafini e Zoff, tra gli allenatori Marchesi e Simoni, Novellino, Ottavio Bianchi giocatore e allenatore. Ci sentiamo spesso e parliamo di calcio da vecchi perché il nostro tempo è passato e lo consideriamo irripetibile. Era un altro mondo e ci volevamo bene”.
5) Se non avesse fatto il giornalista, e se non fosse stato folgorato dal mondo del calcio, cosa avrebbe voluto fare nella vita?
“Mio padre mi ha trasmesso il … virus del giornalismo e non ho avuto scelta. La mia fortuna è averlo avuto come maestro tenero ma duro allo stesso tempo, mi faceva rifare gli articoli, mi stracciava i titoli, sottolineava tutte le imprecisioni e gli errori e, soprattutto, mi fece abbassare la testa quando credetti d’essere già pronto per il mestiere, una grande lezione di vita e di umiltà. Se oggi i giovani sono in difficoltà è perché non hanno avuto la fortuna di avere maestri tra quelli che li precedono, nessuno insegna loro niente, devono fare da soli”.
6) Giorgio Ascarelli, Achille Lauro, Corrado Ferlaino e Aurelio De Laurentiis sono stati indubbiamente le figure più importanti della dirigenza del Napoli. Le andrebbe di fare 4 brevi ritratti di queste figure?
“Ascarelli non l’ho conosciuto, ma è stato il primo grande presidente e dette alla squadra il nome della città. Lauro ha sfruttato il calcio per il suo destino politico, è stato despota e uomo generoso, ingaggiò molti grandi campioni, Jeppson e Vinicio fra i primi, ma non ha mai fatto il presidente per costruire una grande squadra perché gli impegni alla Flotta e in politica assorbivano tutto il suo tempo. Ferlaino è durato più di trent’anni e ha vinto i due scudetti dopo avere ingaggiato Maradona sotto la spinta ossessiva di Juliano, un grande presidente, credo, con buone intuizioni prima dell’arrivo di Diego, crollato poi nell’illusione di potere ancora vincere mentre gli scudetti, senza i diritti televisivi che allora non esistevano, avevano affossato i conti della società. De Laurentiis è il presidente di un calcio che deve fare i conti e non andare più in rosso, non ha grandi risorse personali, non vuole rimetterci, in ogni caso da quando ha riportato il Napoli in serie A ha avuto buoni risultati. Col tempo, se il bilancio andrà sotto, gli sarà difficile proseguire con successo. Aggiungo Roberto Fiore del periodo di Sivori e Altafini, il più allegro della storia del Napoli, con l’indimenticabile Pesaola a gestire una “gabbia di matti”, compresi noi giornalisti”.
7) Ma è vero che il Napoli per vincere i suoi scudetti, più che di Maradona, ebbe bisogno di Italo Allodi e Luciano Moggi, entrambi toscani? Insomma, ha ragione Sacchi quando dice che “Napoli es una ciudad que no tiene una mentalidad ganadora” (Napoli è una città che non ha una mentalità vincente)? Così ha recentemente affermato Arrigo Sacchi al quotidiano spagnolo AS. Che brutto, però, che il commento di Sacchi sia stato esteso alla città e non si sia fermato alle soli considerazioni calcistiche!
“La mentalità vincente te la costruisci nel tempo … vincendo ripetutamente. La storia del Napoli, in una città ripetutamente sconfitta e dominata, messa ai margini, è bella perché è una storia sofferta, tra sogni e illusioni, gioie e dolori, le poche vittorie e le retrocessioni, una passione infinita sostegno eterno alle maglie azzurre. Proprio lo specchio della città apparentemente felice ma destinata al dolore, insomma la vita vera. Napoli non ha mai avuto la potenza economica di Torino e Milano per essere egemone nel calcio. Italo Allodi costruì la squadra da scudetto attorno a Maradona, formidabile il recupero e il rilancio di Giordano. Napoli è stata il portafortuna di Sacchi che diventò vincente al San Paolo con la famosa vittoria del Milan applaudita dai grandi tifosi napoletani. Quella vittoria a Napoli proiettò la squadra milanese verso tutti i suoi traguardi”.
8) Cosa pensa di quel giornalismo, meritevole per certi aspetti, che del Napoli e di Napoli desiderano raccontare solo gli aspetti più beceri? Di chi racconta la nostra città, come se su Napoli non splendesse mai luce, ma solo tenebre e tristezza?
“Ognuno racconta come sa. Forse, a Napoli, siamo più critici che altrove, più pronti a criticare che ad esaltare. Ma raccontare Napoli non è facile, bisogna esserci nati e viverla fino in fondo, assorbendone le radici e la storia, gli umori, le passioni, i vizi. È una città che non si fa catturare perché, nonostante i lati oscuri, è la più viva di tutte le metropoli. Affonda e risorge e continua ad esprimere talenti, oggi nella musica e nel cinema, ieri nel giornalismo e nelle arti. Sul Napoli poi abbiamo un atteggiamento provinciale quasi avessimo vergogna di esaltarlo ritenendo di fare più “bella figura” criticandolo. La critica non vuol dire sempre conoscenza vera dei fatti. Altrove squillano le fanfare per le squadre di calcio ad ogni minima impennata, a Napoli è dovuto arrivare l’incantesimo del pibe per metterci tutti d’accordo (e non tutti e non sempre)”.
9) Napoli e il Napoli posseggono oggi un appeal importante verso i giocatori più bravi e famosi? Cavani e Lavezzi sono solo alcuni dei giocatori che hanno deciso di cercare altrove il loro destino. Cavani perché voleva vincere! Di Lavezzi ricordiamo un tweet della sua fidanzata che apostrofava Napoli ciudad de mierda (evitiamo la traduzione…).
Molti quotidiani dicono che sia la politica del presidente sui diritti di immagine a tenere lontani i grandi nomi. Non è che, invece, Napoli non è considerata un traguardo finale per i calciatori? [Leggi Tutti “no” al Napoli]. E perché Marek Hamsik ha scelto, invece, Napoli in maniera perentoria? Lo stesso Hamsik a cui hai dedicato il libro Marek Hamsik, il principe azzurro, Ultra Edizioni.
“Nel calcio di oggi, ma nella vita di oggi in generale, l’appeal è il danaro. Quando a Milano il danaro si è “ristretto”, perché Moratti ne aveva speso a josa e non ce la faceva più e Berlusconi non voleva più spenderne dopo avere stravolta il pallone con il suo danaro, anche l’appeal di Inter e Milan è calato. Resiste l’appeal della Juventus per la sua storia, per gli assi che l’hanno accompagnata, per l’identificazione con gli Agnelli, per la sua organizzazione, per il suo potere e prepotere. Napoli offre poco danaro e la città, quella che attraeva irresistibilmente i calciatori veneti e friulani che qui scoprivano il paradiso, ha un basso richiamo per la pubblicità che ne sottolinea l’invivibilità e i rischi. Oggi è difficile dall’esterno amare Napoli. Ma Pepe Reina l’ha fatto. Per amare Napoli, oggi, bisogna avere un cuore grande”.
10) Del nuovo allenatore del Napoli non possiamo ancora dire molto. Sicuramente è un allenatore da formare. Non c’è il rischio, come è accaduto con Ranieri e Lippi solo per citarne due, che si formino a Napoli e poi vadano a raccogliere successi altrove?
“Con gli addii di Mazzari e Benitez, che hanno voluto andar via, il Napoli ha dovuto ricominciare due volte, favorito dalle plusvalenze che consentirono a Benitez di rifondare la squadra con giocatori che lui conosceva e seppe attrarre. Perduto Cavani (grande ma inevitabile errore) è arrivato Higuain. Oggi le plusvalenze delle cessioni di Cavani e Lavezzi sono finite e rifare la squadra, in economia, non è facile. La soluzione-Sarri forse è la migliore per cercare di dare un nuovo volto alla squadra azzurra senza illusioni e grandi pretese come farebbero allenatori di maggiore nome e ambizioni col rischio di fare più danni che bene. Siamo quelli che siamo, né ricchi, né competitivi. In queste condizioni il tifo è messo a dura prova. C’è disaffezione. Ma, ai miei tempi, con le retrocessioni e altri pastrocchi e “dolori”, il tifo non mancava mai, eppure non vincevamo nulla. Bastava guardare le maglie azzurre, che erano sempre azzurre non il pasticcio cromatico dei tempi moderni, e … ci squagliava il sangue nelle vene come ai gol del pibe de oro”.
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Noi concludiamo con un grandissimo ringraziamento per il tempo che ci hai dedicato.
Grazie Mimmo
Amedeo Gargiulo
ESCLUSIVA FORZAZZURRI- 10 Domande a Mimmo Carratelli
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