Dott. De Nicola: “A volte mi chiedo: ma che ci faccio io qui?”

Il medico sociale del Napoli, Alfonso De Nicola, è intervenuto l’altro giorno nel corso della tavola rotonda  “Sofferenze Urbane e salute mentale“, tenutasi al PAN di Napoli, nell’ambito del“Premio Fausto Rossano per il pieno diritto alla salute”, premio dedicato alla memoria, alla figura e al lavoro dello psichiatra e psicanalista junghiano napoletano, Fausto Rossano, scomparso nel 2012, e volto a sensibilizzare la coscienza sociale alla lotta contro i pregiudizi che circondano la sofferenza psichica. Da sempre attento e sensibile a questo tipo di tematiche, il dottor De Nicola è stato premiato per l’impegno mostrato nel sostenere il diritto alla salute, attraverso l’adozione del “passaporto ematico”, una vera e propria card che memorizza tutti i dati degli esami effettuati dagli sportivi, con l’intento di monitorare lo stato di salute degli atleti e prevenire, o diagnosticare per tempo, gravi malattie e patologie di diversa natura. Grazie alla sensibilità e all’attenzione mostrata da De Nicola, coadiuvato anche dal lavoro di tutto il suo staff, la SSC Napoli è stata la prima società di Serie A ad aver adottato questo innovativo sistema di prevenzione. Ecco i passaggi più interessanti e significativi dell’intervento del medico sociale della società azzurra.

”MA CHE CI FACCIO QUA”
Sono in discreta difficoltà a parlare con delle menti che ti scrutano (psichiatri e psicanalisti ndr) perché noi lavoriamo in un modo molto più semplice, anche se ci rendiamo conto di avere a che fare con delle persone complicate perché ragazzi di 20-25 anni che si ritrovano dall’altra parte del mondo rispetto a dove teoricamente potevano essere, vivono una realtà completamente diversa da quella che si sarebbero aspettati o che forse avevano sognato da bambini o da giovani, e chiaramente questa cosa non è semplice. Personalità ce ne sono tante: ci sono personalità complesse, ci sono ragazzi apparentemente semplici ma poi invece molto complicati; ci sono ragazzi apparentemente superficiali che invece sono molto profondi. E quindi da questo punto di vista il nostro lavoro nella squadra ci arricchisce continuamente. Una delle cose che però mi sono sempre chiesto, e credo che succeda a molti medici sociali, è: “che cosa ci faccio io qui?”. È una domanda che spesso mi pongo perché al di fuori del lavoro che noi facciamo all’interno dello spogliatoio, c’è poi una realtà completamente diversa contro cui impattiamo ogni giorno.

LA FOTO CON GABBIADINI
L’altro giorno ad esempio, siamo andati a Roma. Siamo scesi dal treno, noi, squadra di “vip”, personaggi “importanti” con 10-15 uomini della sicurezza che ci rendevano ancora più importanti, perché poi questo è il gioco (dice in tono sarcastico, ndr), e ci stavamo dirigendo verso il pullman. A un certo punto c’erano alcuni ragazzini di 8-10-12 anni che si volevano fare le foto con i loro idoli. Affianco a me c’era un bambino che è caduto con la faccia in avanti. Io l’ho aiutato a rialzarsi, avrà avuto 9-10 anni. Era paraparetico spastico e correva dietro ai calciatori ma nessuno se lo filava. Naturalmente io l’ho preso sotto il braccio e gli ho chiesto: chi ti piace? E lui: Gabbiadini! Così ho chiamato Gabbiadini e gli ho chiesto di scendere dal pullman per venire a fare una fotografia. Il bambino aveva scelto proprio Gabbiadini, uno dei ragazzi più sensibili che abbiamo. Sono stato contento di questa cosa e non credo che la sua scelta sia stata casuale. Tanti chiedono di Higuain, molti, moltissimi di Hamsik. E invece aveva chiesto proprio di Gabbiadini. Scelta azzeccata perché Gabbiadini è uno di quei giocatori che sentono le difficoltà degli altri ragazzi e della gente comune. Così abbiamo fatto felice un ragazzo… ma potremmo fare molto di più.

I GRANDI PROBLEMI E I PROBLEMI DEI GRANDI
Tornando alla domanda “che ci faccio io nello spogliatoio”… mi sono chiesto: perché sto qui a curare un ragazzo di 22-25 anni che vive agiatamente e che ha un problema solo: se rispondere o chattare con una o cinque ragazze, una più bella dell’altra; che se ha un altro problema è quello di non sapere quale macchina prendere o se prendere un appartamento con vista mare o direttamente sul mare. Poi invece, andando a scavare, ti accorgi che anche i calciatori sono persone che hanno grandi problemi… perché voi sapete meglio di me che la ricchezza o il raggiungimento di certi obiettivi, non sempre danno la felicità. D’altro canto ritorno nel mio paese dove vivo, entro in un centro che ha voluto fortemente mio padre anche perché mia sorella è neuropsichiatra, e lì ho visto e vissuto tante storie di bambini che mi hanno aperto la mente e mi hanno fatto capire tante cose. E così, quando sono lì con loro, mi chiedo ancora “ma che sono andato fare là” (al Napoli ndr). L’idea che allora nasce, è quella di cercare di fare qualcosa di positivo anche nel mio ambito. E come si può fare? Innanzitutto cercando di trasmettere alle nuove generazione dei concetti sani e dei valori etici.

ECONOMIA ETICA O ETICA ECONOMICA
Una volta è venuta una ragazza a chiedermi una tesi sull’etica economica o sull’economia etica, non ricordo esattamente. Ma era una cosa bellissima e cioè le attività che si fanno e che servono anche per il sociale. Allora mi sono chiesto: perché al Napoli non facciamo questo? E così è nata l’idea di introdurre il passaporto ematico che non è stata un’idea mia, ma della fondazione Fioravante Polito, dedicata ad Andrea Fortunato, ex calciatore della Juve e della Salernitana, morto di leucemia. Il passaporto ematico è una card dove vengono memorizzati tutti gli esami che si fanno per fare attività sportiva e che secondo me dovrebbero fare anche quelli che non fanno attività sportiva.

LA VERA DISABILITA’
Quando un bambino nasce disabile non sa di essere disabile. Lui si sente normale. È normale. Chi è disabile? I disabili siamo noi. Lui non si sente disabile. I disabili siamo noi che lo facciamo diventare disabile. Il messaggio che noi possiamo dare facendoci forti del potere mediatico che ci danno il Napoli e i calciatori, è quello di fare sì che lo sport venga fatto in sicurezza e che tutti ci si possano avviciniare in modo sano e costruttivo, cercando di eliminare le barriere architettoniche e la “voglia” di creare dei disabili. Nascere disabili non significa niente. La vera disabilità è quella che probabilmente hanno tanti di noi che non si rendono conto dei problemi degli altri.

Fonte: napolicalcionews.it

Dario Catapano

Laureato in giurisprudenza e giornalista dal Febbraio 2014. Nelle cose che faccio ci metto il cuore...e la faccia! Facebook: https://www.facebook.com/dario.catapano1 Twitter: @DarioCatapano

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