Striscioni Superga, Mazzola attacca la Juventus: “Chiuderei quello Stadio. Agnelli? Le sentenze vanno rispettate tutte…”

«Guardate, sinceramente, io in cuor mio non solo non riesco a crederlo, ma proprio non ci credo che Agnelli sapesse del contenuto di quegli striscioni tremendi su Superga. Sì, probabilmente aveva il sentore di qualcosa che non andava, ma non di un fatto così grave. Spero che non venga fuori altro». 

Be’, Sandro Mazzola: formulata da lei – figlio del Valentino che in quella tragedia morì, insieme ad altre 30 persone, il 4 maggio 1949 – questa presunzione d’innocenza ha un peso specifico che va oltre eventuali difese o accuse di parte.
«Io sono abituato ad attenermi ai fatti, alle sentenze e a rispettare il lavoro degli inquirenti, in qualsiasi campo. Parimenti, con serenità, ad Agnelli dico di riflettere bene prima di dire certe cose, tipo appunto l’invito ad attenersi alle sentenze rivolto ai media. Le sentenze, o le accetti e le rispetti tutte, o allora non vale. Non mi risulta che nel conto degli scudetti, per esempio, la Juventus si sia mai attenuta alle sentenze. E ricordo quella volta che fu tirata una bomba carta in mezzo ai tifosi del Toro, in un derby. Cercarono di far credere che i granata se la fossero tirata da soli, ma non mi sembra che le sentenze abbiano stabilito questo». 

Lei cosa avrebbe fatto, al posto di Agnelli?
«Intanto avrei chiesto scusa. Subito. In maniera netta, inequivocabile, senza se e senza ma. Anche se non ha responsabilità dirette, sono comunque i loro tifosi, la loro gente. E certo, d’istinto mi verrebbe da chiuderlo, quello stadio». 

E al posto di Cairo? I sostenitori granata, molto sensibili sull’argomento-Superga, gli hanno chiesto di non ospitare il presidente juventino al derby nel Grande Torino.
«Al posto di Cairo io starei un po’ più attento a tutelare il sentimento popolare granata. Ora fa bene a chiedere le scuse di Agnelli, ma ha dovuto essere messo alle strette dai tifosi. E in ogni caso di quegli striscioni vergognosi si sapeva da tempo, mica dall’altra sera. Non si può transigere nel rpretendere questo tipo di rispetto. Almeno su questo argomento. Ma dai: insultare o irridere le vittime di una tragedia che colpì e commosse il mondo intero; la distruzione di una squadra che ancora oggi viene ricordata e onorata ovunque, almeno fuori dall’Italia. E’ qualcosa di… boh, incredibile. Io non riesco nemmeno a concepirla, non dico spiegarla, un’aberrazione simile. Quale male oscuro possa generarla. Mi fa venir da piangere». 

La Juventus è la prima società d’Italia non soltanto in base alla classifica degli ultimi 7 anni. E’ anche all’avanguardia in tutti gli altri settori dell’industria-calcio e ambisce allo status dei top club europei: come fa a faticare così nella gestione del suo pubblico? Non ce lo vediamo il Real Madrid, o il Bayern, o il Chelsea a vivere imbarazzi del genere.
«La verità è che in Italia siamo ancora indietro per la sicurezza negli stadi. E la stessa Juve, che pure ha lo stadio migliore da questo punto di vista, va in difficoltà. Non è facile fronteggiare certe situazioni, eh? Ve lo dico per esperienza. Il timore che succeda qualcosa di peggio è tangibile, spaventa. Questi gruppi di tifosi, specie adesso, sono molto… organizzati. Ci vorrebbe un’opera di pulizia e polizia totale. E le istituzioni dovrebbero essere più vicine alle società. Aiutarle a tagliare i ponti con questi gruppi che ti ricattano. Ma si sarebbe dovuto cominciare già tanto tempo fa. Quand’ero dirigente dell’Inter decisi di andare a parlare a dei tifosi basati a Sesto San Giovanni, che avevano combinato dei casini. Il presidente Fraizzoli mi disse: “ma te sì mat?”. Tagliai a questa gente il rifornimento di biglietti, provai a spiegar loro che quei comportamenti erano controproucenti anche per la squadra. Ma non è che ottenni molto, eh?». 

L’anno prossimo ne saranno passati 70, Mazzola.
«Mamma mia, me ne rendo conto solo ora che me lo dice. Non tengo il conto. Per me il Grande Torino è mio papà che mi portava in campo con la maglia granata e mi faceva tirare i rigori contro Bacigalupo: lui li faceva passare e io andavo a correre esultando sotto le tribune». 

E la Juve cos’è, invece, per lei?
«E’ quell’autista mandato da Boniperti che mi accolse con una macchina gialla dentro il bunker di Appiano, quando la Juve mi voleva comprare dall’Inter. Scende e mi fa: “ué, ciao Sandro”. E io: “mi scusi, ma lei come ha fatto a entrare qua che è tutto blindato?”. E lui: “noi della Juve entriamo dappertutto”. Ecco. Poi è Boniperti che, dopo che gli vengo portato davanti quel giorno, di nascosto dalla mia famiglia, mi offre una concessionaria Fiat a Torino, un’agenzia Sai a Milano e quattro volte il mio stipendio nerazzurro. E mi confida che andava di nascosto a spiare gli allenamenti del Grande Torino per guardare mio papà. Io torno a Milano la sera tutto confuso, combattuto, silenzioso, leggo nervosamente due libri allo stesso tempo e, pur mangione qual ero, non tocco cibo. Finché mamma Emilia entra in camera e in dialetto mi fa: “adesso mi spieghi cosa mi stai tenendo nascosto”. Io le racconto dell’offerta della Juve. Lei mi dice: “tuo padre si rivolterebbe nella tomba: domani lo chiami e gli dici no, grazie”. Mica potevo disobbedirle».