Thuram: “A Napoli sono molto legato. Cori razzisti? Vanno condannati da calciatori e allenatori. E su Ancelotti…”

Lilian Thuram, ex difensore, ha rilasciato un’intervista a Il Mattino. Ecco alcuni passaggi:

Cosa pensa della proposta di Ancelotti di sospendere le partite in caso di insulti razzisti?
«Una premessa. È importante che ci sia una persona che dica che tutto questo non si può fare perché il vero problema è rappresentato da allenatori e giocatori che non dicono niente per paura di mettersi contro quei tifosi. Loro guardano e fanno finta di non vedere, manca la volontà di denunciare. Con un intervento come quello di Ancelotti si prende la direzione giusta», ha tuonato Thuram che non lesina dure considerazioni sull’argomento: «Se si interrompe una partita per cori razzisti o per insulti, il calcio si ferma a riflettere. Questo è un mondo professionistico basato sul business, dunque si può aprire una riflessione se c’è un intervento così forte contro un male che non è soltanto di questo settore ma della società. Il calcio provi a risolvere questa situazione: non la legittimi con il silenzio».

Come e dove nasce questa vergogna, questa persecuzione nei confronti di atleti neri ed ebrei o di una squadra meridionale?
«È una questione culturale. Chi non è oggetto di atti di razzismo non si rende conto che questa è violenza pura ed ecco perché non dà peso a certi episodi. C’è una differenza tra il razzismo per le origini e per il colore della pelle. Nei confronti dei meridionali che si trasferivano al nord per lavoro vi era un profondo ostracismo negli anni 50 e 60: si arrivava a negare l’ingresso in un locale. Fuori dagli stadi, la società non fa differenza tra italiani e napoletani mentre ancora oggi c’è chi invece rifiuta la legittimità, lo status di italiano, a chi è nero. Io ho giocato tanti anni con Fabio Cannavaro, lo considero mio fratello. Quando ascoltavo i cori che facevano contro di lui negli stadi perché era napoletano, gli dicevo che non era giusto e che non si poteva far finta di niente di fronte a coloro che si sentivano superiori ad altri e ovviamente non lo erano».

Ancelotti è stato il suo primo allenatore a Parma ventidue anni fa.
«Una persona che mi è piaciuta dal primo momento. Grandissimo come calciatore, aveva da allenatore un atteggiamento intelligente e umile verso i giocatori. È stata una fortuna trovarlo sulla mia strada perché mi ha fatto crescere come calciatore e come persona. Ero abbastanza giovane quando sono arrivato a Parma, 24 anni, e Ancelotti mi ha cambiato la vita. Ci sono allenatori che pensano di vincere da soli le partite: Carlo no, Carlo sa che vince la squadra, cioè l’allenatore e i giocatori. Non è un caso che chi è stato un suo calciatore parli bene di lui. Ci sono tecnici che mettono sul tavolo tutto quello che hanno vinto, ne parlano sempre. Lui no, eppure ha vinto più di tutti».

A un campione che ha vinto tutto nella sua carriera bisogna chiedere un parere su come andrà a finire il girone di Champions League. Passerà il Napoli?
«Io sono francese e in corsa c’è il Paris St. Germain, ma a Napoli sono molto legato perché quella è la città di Cannavaro, mio fratello Fabio. Difficile prevedere cosa possa accadere a Liverpool e Belgrado. A Parigi sono rimasto colpito dal gioco e dall’intensità del Napoli: è molto forte, però gioca la partita decisiva sul campo della finalista dell’ultima Champions. Ad Ancelotti può bastare il pareggio: spero ce la faccia».