Hamsik, l’anno del capitano azzurro

HAMSIK14785869A pensarci bene, è stato un viaggio fantastico: cominciò dal nulla, tra i fischi e le imprecazioni, la paura e il pregiudizio; ma quando da Marekiaro si scoprì quel panorama meraviglioso, fu subito un’altra storia. Otto anni (di Napoli) e non sentirli addosso, men che meno dentro: perché questo non è (solo) calcio, ma è una scelta di vita, è la dimensione familiare scelta da un ragazzo divenuto presto uomo e trasformatosi in capitano, senza tener tentazioni e anzi sfuggendole. «Io qua sono felice». L’ha detto e l’ha ridetto, affinché si sappia in giro che non c’è verso di convincerlo a riflettere: l’ha detto e poi l’ha ridetto in tempi non sospetti, vicini e anche lontani, e quando è apparso chiaro che lui non fosse più inamovibile, perché gli toccava la panchina, l’ha sottolineato ancora. «Questa è casa mia». La Napoli di Hamsik è empatia allo stato puro, è sentimento che si sprigiona attraverso un percorso reso pure frastagliato da qualche incidente di percorso (il furto, la rapina) ma impermeabile poi a qualsiasi sollecitazione, persino alle paure vissute della quotidianità.

OH CAPITANO. Si (ri)parte e c’è ben poco da aggiungere a quanto sottolineato appena dieci giorni fa, nel confessionale di una intervista che segna la frontiera tra ciò ch’è stato e quello che deve essere, perché la musichetta che gli piace tanto è quella della Champions e ci sono certe notti dalle quali proprio non bisogna uscire: «Saranno due partite fondamentali». Saranno le partite in cui ritrovare se stesso, il talento ingovernabile (per gli avversari) che spacca le partite dall’alto delle proprie letture: mezz’ala o trequartista o centrocampista o seconda punta poc’importa, ma al Napoli serve il miglior Hamsik, quello che nell’ultimo anno non s’è visto e no, come sottolineato, per chissà quali oscuri impedimenti tattici. «Non è una questione di modulo».

LA SFORTUNA. La crisi del settimo anno è andata, appartiene agli scaraabocchi d’una stagione caratterizzata da una serie di accidenti che l’hanno ridimensionato, togliendogli non energia ma anche ottimismo ed allegria: due mesi fuori per infortunio, quanto basta ad occupare il cielo con nuvoloni sparsi qua e là che ingrigiscono pure l’anima ed a minare le sicurezze maturate. Ma è andata e stavolta si (ri)comincia da Napoli-Athletic Bilbao, già due gare della verità nelle quali catapultare tutta la leadership d’un uomo che ha voluto Napoli e poi se l’è tenuta tenacemente, rinunciando a nuove emozioni per restare aggrappato ad un habitat divenuto per lui naturale, sfilandosi di dosso il costume da «mister X» che gli aveva ritagliato il Milan, sottraendosi a corteggiamento con firme per il rinnovo su fazzoletti di carta. «Perché io e la mia famiglia a Napoli stiamo benissimo, sentiamo l’amore della gente».

LA BANDIERA. I numeri dànno imponenza al settennato: trencentotré presenze e settansette gol, un posto nella galleria della Napoli di tutti i tempi, la proiezione a divenire molto più di un’entità calcistica ma una sorta di totem da lasciare nella Storia. E poi: per sei anni, in doppia cifra; per i primi tre, capocannoniere d’una squadra nella quale c’era anche il Pocho. Ora quella fascia lasciatagli in eredità da Cannavaro, un napoletano autentico, che l’ha consegnata ad un napoletano adottivo per amor proprio. «Io qua sono contento».

Fonte:“Il Corriere dello Sport”.

Antimo Panfilo

Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere cosi come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un opera di teatro, che non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca senza applausi…

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